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mercoledì 27 febbraio 2008

Adattamento passivo e attivo

A mio parere esistono principalmente due tipi d'adattamento: attivo e passivo.
Quale dei due il migliore? Dipende dallo scopo in cui lo si analizza.
Mi spiego meglio.

L'adattamento attivo è quello che permette di adattarsi ad una nuova situazione, sfruttandone tutti i particolari a proprio vantaggio.
Un esempio? Robinson Crusoe è l'archetipo dell'adattamento attivo.
La situazione nuova: rimanere su un'isola deserta.
L'adattamento attivo: sfruttarne tutti i particolari (presenza di alberi, frutti, animali selvatici, mare) a proprio vantaggio (legna e cibo).
Il non-plus-ultra dell'intelligenza agli occhi di molti.

E l'adattamento passivo?
E' quello della malleabilità. Un oggetto malleabile, tipo il pongo (ve lo ricordate ancora?), può essere inserito in qualsiasi spazio a disposizione. Non ha una forma vera e propria, ma l'acquisisce dal contesto. Lo si può incontrare in una particolare forma, ma è solo temporanea.

Di certo, un uomo o una donna "malleabili" non danno proprio l'idea di qualcosa di positivo. Invece, l'adattamento attivo è sinonimo d'intelligenza: il massimo ricavo dagli elementi a disposizione.

Da un punto di vista semplicistico si può capire come entrambi gli adattamenti abbiano un aspetto positivo e uno negativo.

Una persona che ha un'alta capacità di adattamento attivo di certo sa controllare il proprio mondo, vive con una piena consapevolezza di cosa può fare e di dove vuole arrivare.
Certo che, però, raggiungere degli obbiettivi (costruirsi una baracca con certe comodità, ad esempio) costa fatica e seppur intelligente e volenteroso l'"attivo" deve comunque scontrarsi con il duro lavoro.
Un esempio è la nostra società (a grandi linee). La società permette, alle persone che ne fanno parte, una serie di comodità. Queste, però, sono comunque frutto di duro lavoro; magari non direttamente dal proprio (se sono un informatico non metto di certo l'asfalto sulle strade), ma sicuramente indirettamente (parte di quello che guadagno viene dato, sotto forma di tasse, allo stato e al comune che fa le strade).

Quindi, a mio parere, in un contesto di un grosso cambiamento, seguito da cambiamenti di piccole dimensioni, sicuramente un atteggiamento attivo è quello che, da un punto di vista delle comodità, è il migliore.

E quello passivo? Qual è il suo lato positivo? Dove può essere, un atteggiamento malleabile, considerato positivo?

Se i cambiamenti sono veloci, se i cambiamenti permettono il duro lavoro quel tanto che basta per fargli innalzare i propri pilastri per poi distruggerglieli, bé, qui l'atteggiamento attivo è qualcosa di veramente faticoso e poco remunerativo.
E, come avrete già capito, l'atteggiamento passivo, da un punto di vista di "sopravvivenza psicologica" è decisamente superiore.
Magari potreste pure ribattermi che in un "essere malleabile" c'è ben poco di "psicologico" da far sopravvivere; ma questo non è vero, a mio avviso. E' un tipo di adattamento ben solido. Implica la capacità di non vedersi mai completamente identificati con un ruolo, mai dedicati completamente a delle abitudini.

Una buona metafora per i due atteggiamenti sono gli alberi. Se ipotizziamo che un albero maestoso nella sua grandezza abbia delle radici numerose, profonde e spesse, intese a sostentarne tutta l'impalcatura, mentre un alberello non possa vantare che radici corte, poco numerose e sottili, ne viene la metafora.
L'albero maestoso è la persona dall'atteggiamento attivo. Impone al sua presenza intelligente sul territorio; ma che fatica se viene sradicato e piantato in altro suolo. Tutta l'impalcatura creata non potrà sostentarsi da subito e dovrà pian piano essere completamente ristabilita, magari in modo totalmente differente.
L'alberello è invece la persona dall'atteggiamento passivo. Poco radicata nel vecchio suolo, quando spostata ha poco da adattare.

Ora vi chiedo: da un punto di vista biologico di conservazione della specie, qual'è l'atteggiamento migliore?
Dipende; infatti, per certi motivi sicuramente l'alberello, in condizioni di mutazione improvvisa dei fattori esterni può facilmente adattarsi (un esempio per tutti: i batteri sono organismi, come organismo è anche l'uomo, ma di infinitesima complessità; difatti, ciò permette loro di adattarsi con stupenda facilità).
C'è anche da dire che il grande albero, invece, nonostante la sua incapacità d'adattamento a continui grossi cambiamenti, s'impone sull'ambiente, differentemente dall'alberello. Questo gli permette di mitigare i cambiamenti che potrebbero metterlo in crisi.

Pensiamoci un po': l'ingegneria nella nostra società non fa proprio questo? La capacità tecnologica d'una società è strettamente legata alla propria capacità d'adattamento attivo: ora "attivo" è doppiamente attivo. Esso implica non solo 1) lo sfruttamento intelligente delle risorse del contesto, ma anche 2) la modifica del contesto per renderlo a proprio pacimento.

2 commenti:

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